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Santeraclio scritta

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Contrastanca/Contrastanga

Fabio Bettoni, Anna Maria Rodante

 

     In documenti manoscritti del Duecento, quello che sarebbe diventato (almeno in parte) il nostro rione era indicato come Contrata Contrastanchae, Contrata di/della Contrastanca.

 

 

     1. Contrata: giacché il carattere della zona era prevalentemente rustico, rurale, benché fosse ormai inglobata entro le mura di Foligno; ciò diversamente da quanto caratterizzava altre porzioni della città designate con il termine di breve, il carattere topografico delle quali era più marcatamente urbano.
Con la Contrastanca, troviamo segnalate anche le seguenti contrate: della Croce, della Mora, della Villa dei Franceschi (spazio, quest’ultimo, dagli echi più nettamente rurali stante la designazione di villa, cioè villaggio, paese); essendo, nel contempo, indicati come brevi le zone urbane di Campo, Ammanniti, Porta Cippesca, Santi Giovanni e Nicola, Figli di Ingone, Trivio dei Figli di Mingone, Strada, San Salvatore, San Leonardo, Santa Maria Maddalena, San Pietro in Posterla, Piazza Vecchia, breve dei Visconti.
Un’indicazione di lunga durata, quella di contrata: ancora a metà del Trecento, infatti, l’Abbazia, il Pugilli, il Borgo, venivano citati come contrate, a denotare luoghi periferici rispetto al cuore della città, anche se ormai erano, almeno l’Abbazia, societates, cioè società urbane a tutti gli effetti, rioni giuridicamente organizzati come tali.

     Sarà da osservare altresì che, se nel Duecento la parola contrata dava risalto alla dimensione territoriale di uno spazio, con il termine di breve si accentuava la valenza giuridica di esso: il breve essendo anche un testo contenente attribuzioni, prerogative, norme, che appunto attenevano alla sfera del diritto. Ciò non toglie che entrambe le parole contenessero sia il profilo territoriale sia quello giuridico; occorre notare, ancora, che nello stesso secolo, anche areali extra-muranei erano designati come breve: è il caso di taluni brevi citati in documenti redatti intorno alla metà del Duecento: San Pietro di Corvia, Borroni, Scafali, Costino, Acqua Sparta, Sant’Antonio, Cantagalli, Lunguiati, San Pietro di Matoci, Sant’Angelo di Cave, Santa Maria di Cave, San Costanzo, tutti luoghi in pianura; Pasano, Sostino, Gaglioli (nei pressi di Capodacqua) in collina; Ricciano in montagna; Felocci, Ponte di Barraclia, Figli di Monaldo, Rattesca, Villa Nova, Castello, Benarelli, Bactori, situati in zone oggi non meglio identificabili.

     I lettori avranno intuito che, già nel Duecento, i brevi extramuranei appena ricordati denotavano l’esistenza di frazioni territoriali le quali in gran parte sono giunte fino al presente; i brevi e le contrate intramuranei, invece, si presentavano nello stadio evolutivo che stava connotando l’assetto urbanistico di Foligno. Talché, quando con il Trecento detta evoluzione poteva dirsi ultimata, nello spazio interno alle mura s’intrecciavano, con le antiche, nuove configurazioni, le societates, appunto; queste, assunte denominazioni in parte attualmente ben note, si stabilizzavano in diciassette entità territorial-giuridiche: Abbazia, Croce, Contrastanca, Mora, Franceschi, Campo, Spavagli, Ammanniti, Cippischi, Spada, Piazza Vecchia, Borgo, Figli di Ingone, Pugilli, Jupti, Menacoda, Falconi.
Nonostante la maturazione trecentesca di esse, il primo elenco delle societates rionali che sia giunto sino a noi documentandole in sequenza nel loro insieme è del 1448: oggi è impossibile risalire più indietro nel tempo. La serie attuale dei rioni simbolici di Foligno, che dal 1946 formano la base territoriale simbolica dell’Ente Giostra della Quintana e l’intelaiatura giuridica del medesimo, è la seguente: Ammanniti, Badia, Cassero, Contrastanga, Croce Bianca, Giotti, Mora, Morlupo, Pugilli, Spada.
Come si vede, si sono verificate variazioni rispetto al passato medievale: il rione storico di Piazza Vecchia è stato assorbito nell’odierno simbolico Mora; Campo e Spavagli in Cassero; Cippischi in Ammanniti; Feldenghi, Borgo e Falconi in Spada; Menacoda e Figli di Ingone in Jupti, l’attuale Giotti; l’odierno rione Cassero non figurava nella toponimìa antica, e il Franceschi oggi è assorbito dal rione Morlupo, una contrata documentata come tale ancora nel Seicento, mai stata, però, breve o societas.

     Con il tempo, dunque, i due profili: quello territoriale e quello socio-istituzionale si compenetrarono al punto che ogni abitante della città, se munito del titolo e delle prerogative della cittadinanza, doveva ascriversi ad una società rionale, dichiarare la propria appartenenza rionale in ogni atto pubblico o privato, registrare il proprio patrimonio immobiliare al catasto del Comune, partecipare alle adunanze rionali, concorrere alla formazione degli uffici pubblici, occupare gli uffici pubblici (consolato rionale, consiglierato comunale, priorato comunale, castellanato e vicariato territoriali) ogni volta che vi fosse stato eletto su base rionale o nominato sulla base del terziere al quale afferiva la società rionale di appartenenza, svolgere le mansioni (i servitia realia et personalia) volta a volta assegnate dal Comune o dal consolato rionale (manutenzioni infrastrutturali, difesa della città, partecipazione alle funzioni civili e religiose). Vi furono anche società di tipo particolare, dette compagnie: si ricordano quelle dei Cento Carri (1213), di Santa Maria (1439 ?), della Rosa (1439 ?): ma sono entità storiche a noi sconosciute.

 

     2. Quali fossero le dimensioni territoriali di brevi, contrate intramuranee, societates rionali non sappiamo. Entro la prima metà del Seicento, lo studioso Lodovico Jacobilli (1598-1644) compilò un’Assegna de’ Confini delle 17 Compagnie o Contrade, overo Rioni, de’ quali è divisa la Città di Foligno: titolo, come si può ben vedere, che operava una miscela di denominazioni territoriali-giuridiche dal carattere differenziato. (Questo documento, rimasto inedito fino ai nostri giorni, è stato pubblicato e commentato da Bruno Marinelli, nel libro intitolato I rioni di Foligno. Tradizione e storia, Foligno 1994; lo si trova nella Biblioteca Comunale).

  Porta romana   Che cosa scrive Jacobilli del Contrastanca? Ecco il passo:

Contrastanga, che in latino si dice contra stagnum. Fu così nominata perché avanti la Porta della Città, di tal nome Contrastanga o Contrastagno, era uno stagno, o laghetto d’acqua, che vi si andava sopra con un ponte levatoro; e poi fu detta ancora Romana, perché conduceva a Roma.

     Nessun documento pervenuto fino a noi supporta il testo appena letto; si noti, peraltro, la piegatura del latino –stanca in –stanga; esso, comunque, va considerato un’elucubrazione fantasiosa: nei secoli passati, gli studiosi, anche quelli pieni di meriti come Jacobilli, non temevano di arrischiarsi in acrobazie etimologiche. Che intorno al muro di cinta della città vi fosse un fossato è ben noto; che alla porta Romana vi fosse un ponte mobile è congetturabile se non certo; ma da qui ad affermare l’esistenza di un ponte su di uno stagno o laghetto!

     Non potendo fornire “pezze d’appoggio” scritte sull’araldica rionale, Jacobilli evocò documenti lapidei:

Faceva per arme questa Compagnia una sbarra o un Ponte, sotto il quale passa uno stagno d’acqua, che poi mutò in tre sbarre; e sino al presente si vede molto antica in un cantone d’una casa incontro a quella del Sig. Cavalier Piero Gregorij; et anche un’altra fuori delle mura della Città fra le Porte di Contrastanga, et Abbadia.

     L’incertezza di Jacobilli regnava sovrana (sbarra, ponte, tre sbarre); per di più non disegnò quest’arme; non c’è da dubitare che ai luoghi indicati i due stemmi facessero bella mostra di sé: ma da qui a definirli stemmi di un rione detto di Contrastanga!

     L’autore seicentesco entrava poi nei dettagli topografici:

Questa Compagnia fa fuochi 143. Principia dalla Porta Contrastanga, e per retta linea si stende per sino alle ultime case della Strada della Fiera, ch’entra poi in Piazza grande; et abbraccia tutte le case di Piazza Piccola dalla parte contigua verso la fiera, con tutto il Borgo di Ferdinando Varini, e de’ Giosuè, e tutte le case, e vicoli verso il Macello; e l’Isola, e case del Macello, e della Fiera per sino alla casa de’ Scarmiglioni, hoggi de’ Massorelli, e tutte le case, e botteghe contigue del Trebbio della Fiera, li Borghi del Sig. Federico Bernabei, hoggi della Sig.ra Maria Cattani, del Cavalier Gregorij, e de’ Marcellesi, il Borgo detto di Vitellesco, di Mastro Simone Sarto, e segue persino appresso avanti la Madonna di S. Francesco, con li Borghi de’ Cattani, Gerardi, e tutta la Contrada di Morlupo, dalla casa delli eredi di Francesco Colonna, e di Eugenio Bolognini per sino alle case del Sig. Nicola Salvati, e Sig. Pier Francesco degli Honofrij, e tutta la Strada Gubbina, et Isola del Trebbio, Pozzi, e de’ Silvani. Ha per lato la Compagnia della Croce da due, la Badia, li Giotti, Piazza Vecchia, e la Mora.

     La spazialità così definita si presenterebbe oggi secondo il quadro seguente: corso Cavour (già strada della Fiera), trivio della Fiera-largo Carducci (trebbio della Fiera), tratto iniziale di via Garibaldi, via Umberto I fino al palazzo Massorilli (civico n. 33); ancora trivio della Fiera, largo Carducci (piazza Piccola, spazio antistante la facciata principale della cattedrale); a seguire piazza Faloci Pulignani, via Giustiniano Pagliarini; tornando al trivio della Fiera, e prendendo per via Mazzini, si toccherebbe il tratto iniziale di questa via (già strada Gubbina), si andrebbe in via Cesare Agostini (cuore della contrata Morlupo), fino all’oratorio del Gonfalone (detto allora la Madonna di San Francesco). Se fosse giunta fino a noi la prima restituzione grafica della Pianta della città di Fuligno, redatta nel 1635 dal cartografo Luca Ugolini (1587-1672) e verosimilmente corredata dalla mappatura allora vigente delle società rionali, avremmo potuto realizzare gli opportuni riscontri con la coeva Assegna jacobilliana. Ammesso, e non concesso, che le tradizioni ivi disegnate e scritte rispondessero all’evoluzione storica effettuale dell’intelaiatura topografica rionale, giacché le stesse fonti notarili assai spesso, nell’indicare la residenza di Tizio o di Caio davano localizzazioni incerte, tipo: Tizio abitante nella Società di Contrstanga o di Croce, con ciò denotando che punti fermi non ve n’erano.

     Quanto alla localizzazione residenziale di alcuni personaggi citati nel testo appena letto, osserviamo: il palazzo di Pietro Gregori in via della Fiera era situato dove oggi sorgono i resti del Teatro Piermarini; del palazzetto Massorilli in via Umberto I ho appena scritto; il palazzo dei Bolognini, nel cuore di Morlupo, corrispondeva al palazzo oggi dei signori Pandolfi Elmi in via Cesare Agostini (civico n. 21); l’isola de’ Silvani corrispondeva al sito del civico 39 nell’odierna via Mazzini, tratto iniziale della medesima già strada Gubbina; il borgo dei Gerardi in angolo tra via Mazzini e via dei Franceschi, corrispondeva al sito oggi incentrato sul palazzo Mancia Salvini (v. Mazzini n. 57); il borgo dei Cattani corrispondeva al sito dell’edificio con stemma Cattani ubicato in via dei Franceschi (n. 29).

 

     3.stemmaL’Assegna di Jacobilli era nota a quanti s’interessavano nel Settecento di topografia e di araldica. Vi si riferì il geometra Francesco Antonio Morichini che la trascrisse nel 1748, vi si riferì l’abate Alessandro Barnabò (1715-79). Né l’uno, né l’altro (come puntualmente ha notato Marinelli nel suo citato libro sui Rioni) seppero dire cose diverse da Jacobilli; Morichini, però, disegnò dodici emblemi per altrettanti rioni che denominò compagnie (la confusione sotto il cielo era sempre sovrana); tra questi ultimi, quello della Contrastanga che non si rifaceva al ponte della porta Romana, bensì, sulla testimonianza ovviamente di Jacobilli, alle tre sbarre, dizione peraltro impropria in quanto Jacobilli avrebbe dovuto sapere che si trattava di bande, tant’è che una lettura araldica, pur difficile data la mancanza del colore degli smalti, lo indicherebbe come stemma interzato in banda (fig. 1), ove, secondo l’eco feudale, la banda corrisponderebbe alla baudiere come meglio si vedrà appresso.


stemmaIn séguito, e comunque nell’Ottocento, si dipinsero (ignoriamo da chi) le insegne di venti rioni sulle pareti della sala delle Armi in palazzo comunale; in parte raccogliendo la tradizione fissata da Jacobilli e ribadita da Morichini, in parte inventando, in parte mutando: tra le mutazioni vi fu quella concernente lo stemma del Contrastanga (fig. 2). Ora esso si presentava con il campo in azzurro, le bande erano diventate fasce dallo smalto di colore oro in numero di quattro, talché, a volerne dare una lettura araldica, lo descriveremmo così: D’azzurro caricato di quattro fasce d’oro, oppure: D’azzurro alle quattro fasce d’oro; ove alla fascia corrisponde la cintura militare secondo il richiamo feudale (sempre che l’ispiratore e/o l’esecutore del disegno ne avessero avuta consapevolezza).

 

 

 stemma 

 

 

Nel 1946, pare di poter dire che le fasce siano state riproposte e ricondotte a tre (fig. 3), mantenendo il colore dello smalto azzurro per il campo e d’oro per le fasce; dunque, dal punto di vista araldico, quello di oggi è uno stemma D’azzurro interzato da fasce d’oro, oppure: D’azzurro caricato da tre fasce d’oro.

    

 

 

 

 

stemmaTirando le somme di questo lungo itinerario inventivo, si può concludere che esso ha avuto una fonte d’ispirazione tanto evidente quanto sottaciuta: l’arme, antichissima, del casato nobiliare dei Barnabò (fig. 4). Come ebbe a scrivere Alessandro Barnabò essa presentava in campo azzurro, tre bande d’oro, oppure: era un’arme bandata d’azzurro e d’oro; ove, e qui l’ispirazione feudale era indiscutibile, la banda indicava il budriere, ovvero la cinghia di cuoio portata a tracolla, per reggere la spada (dal francese baudrier, vocabolo di origine germanica). Del resto non era inverosimile pensare, come forse fece Morichini, che la società di Contrastanca avesse mutuato il proprio simbolo da quello di un casato nobilissimo il cui nucleo residenziale originario era posto dirimpetto alla chiesa di San Francesco, molto vicino al limite orientale del rione medesimo.

     Occorre rilevare tuttavia che Jacobilli conosceva un voluminoso documento compilato dal notaio Ugo di Simone, tra il gennaio del 1295 e l’ottobre del 1296: la Libra et extimatio bonorum, possessionum, et rerum omnium et singularum ecclesiarum civitatis et dioecesis Fulginatis, una registrazione catastale assai importante non soltanto per la storia dei patrimoni fondiari della Chiesa locale, ma anche per la storia del territorio folignate. Lo conosceva, ma non vi trasse ispirazione.


foligno 1600Si guardi per un momento il disegno topografico seguente,

si vada con l’occhio alla porta Romana e alla vicina chiesa di San Costanzo; oggi, per localizzare quest’ultima, si deve andare al margine del Casermone, su via Roma. Nel 1295, da queste parti era ricordata una turris Stanca. Così si legge: a sancto Constantio et prope turrim Stancam; ed anche: in contrata turris Stanche, prope turrim Stancham juxta viam. È ipotizzabile che le origini della contrata Contrastanchae e della sua toponimìa vadano ricercate lì.

     Questa ipotesi però non sfiorò Jacobilli, benché fosse un ricercatore curioso, poliedrico e infaticabile.

 

 riproduzione di un disegno seicentesco di Anonimo